Un’azienda, una società o un ecosistema possono essere definiti sostenibili solo quando hanno in sé la capacità di mantenere una produzione costante senza perdere le proprie qualità e i propri valori. Per ottenere questo risultato non basta un equilibrio economico, ma occorre prendere in considerazione gli aspetti sociali e ambientali della propria attività.

Fino a tutto il secolo scorso, l’impatto ambientale delle proprie attività era considerato dalle aziende come un problema marginale. È negli ultimi 20 anni che hanno iniziato ad investire maggiori risorse per affrontare la questione, quando le tematiche ambientali, inserite nel più ampio concetto della responsabilità sociale d’impresa (CSR), sono diventate per le imprese una questione prioritaria per migliorare la propria reputazione.

La pubblicazione del bilancio ambientale (o sociale) cominciò a essere percepita come un prerequisito per chiunque fosse interessato a gestire in modo proattivo gli stakeholder. A partire dal 2015, anno in cui è stata organizzata a Milano l’esposizione universale Expo, l’impegno verso la sostenibilità non è stato più considerato come una semplice strategia di posizionamento. Per certi versi non è più neanche una scelta, visto che ogni impresa è chiamata a inserire tra i suoi parametri di autovalutazione del bilancio anche le tematiche legate all’ambiente e al sociale.

Generalmente, troviamo almeno quattro livelli di attuazione del concetto di sostenibilità:

  1. Il primo è quello tattico, e in genere episodico, della Corporate philantrophy. In questo caso l’impegno aziendale non è rivolto alla riduzione del proprio impatto, ma è spostato su ambiti esterni al perimetro in cui opera. Tipicamente, può riguardare azioni a sostegno dei Paesi più poveri, alla lotta contro la fame o le malattie, la difesa di specie animali e ambienti naturali.
  2. Poi c’è la formula più strutturale della CSR (Corporate social responsibility) nella quale si può combinare il sostegno di cause esterne con qualche forma di impegno che impatta direttamente sulle proprie attività.
  3. Più articolato è l’approccio del Risk management, col quale si cerca di modificare il proprio modo di fare business soprattutto per evitare i problemi e i costi di possibili crisi amministrative.
  4. Infine c’è l’orientamento alla Business sustainability, che presuppone una nuova consapevolezza basata sulla convinzione che l’unico modo per garantire nel tempo il profitto è quello di azzerare tutti gli impatti negativi e aumentare quelli positivi, in altre parole guadagnare dall’essere sostenibili. Questo modello più completo e vincolante implica: impegni presi sul versante dei processi produttivi, innovazioni che riguardano il prodotto, azioni che impattino sul benessere del consumatore al di là della sua soddisfazione e attenzioni verso gli altri stakeholder.

Queste sono problematiche che un’impresa si ritroverà inevitabilmente ad affrontare, dato che le emergenze ambientali e sociali oggi vengono vissute spesso in maniera diretta dalle persone o dai lavoratori stessi, incidendo sulla qualità della loro vita e del loro operato sul lavoro. È quindi lungimirante iniziare a ragionare su tematiche di questo tipo per migliorare la propria brand equity e aumentare la possibilità di avere una percezione positiva, da un punto di vista etico, della propria azienda.