Andiamo dritti al punto, perché se siete approdati a questo articolo significa che sapete già di cosa stiamo parlando

Un modello scolastico

L’ormai onnipresente funnel di vendita è iniziato come implementazione del modello “AIDA” (Attenzione, Interesse, Desiderio, Azione) lineare e gerarchico che per primo ha preso piede nell’era delle vendite personali porta a porta alla fine del XIX secolo.

Il funnel era un modo per insegnare ai venditori come spingere gli acquirenti verso una vendita in un’unica conversazione. La risposta dei potenziali clienti ad un’azione AIDA assomiglia in effetti alla forma di un imbuto (traduzione di “funnel”): man mano che si procede nella conversazione e si passa tra i vari livelli, vengono via via filtrati i clienti meno interessati. Alla fine resta solo il cliente pronto alla conversione, cioè all’acquisto.

Nel 1924, in un libro intitolato “Bond Salesmanship“, William Townsend sovrappose per la prima volta in modo esplicito questa metafora dell’imbuto al modello AIDA, come un modo per spingere le persone verso una vendita, ma presumibilmente questa volta nel contesto della comunicazione telefonica, la nuova tecnologia di grido di allora. Quindi questa commistione era chiaramente orientata alla vendita diretta.

I formatori dei funnel

Originariamente si trattava quindi di guidare le persone didatticamente verso una vendita in un unico momento, mentre oggi assumiamo più fasi su scale temporali più lunghe, con un pubblico diverso e su piattaforme diverse. Questa concezione moderna del funnel ha iniziato a prendere piede intorno agli anni 2000 con i formatori dei “funnel” intenti a spiegare i ruoli dei vari formati che gli annunci avevano, coerentemente col momento nel percorso dei clienti.

La teoria alla base degli insegnamenti di questi personaggi coloriti è che sin dal primo contatto con un potenziale cliente dobbiamo obbligare la persona a percorrere specifici passaggi obbligati, molto lunghi e molto precisi su più canali, così da portarlo matematicamente all’acquisto.

Per capire meglio la logica, proponiamo un esempio di fantasia super semplificato. Supponiamo di partire con 100 clienti che hanno risposto positivamente a una campagna pubblicitaria.

  1. Step 1: perdiamo 30 clienti nella prima interazione su una landing page su un sito web.
  2. Step 2: ne perdiamo 20 nella seconda interazione tramite una mail.
  3. Step 3: perdiamo 5 clienti nella terza interazione nel tentativo effettivo di vendita.

Quindi, partendo da 100 potenziali clienti, alla fine di questo brevissimo funnel dovremmo arrivare a 45 acquisti. Lo struggimento di formatori e esperti di funnel consta nel prevedere funnel con meno perdite possibili in ogni step. All’atto pratico e per qualche stranissima regola non scritta, il loro consiglio è di creare funnel con moltissimi passaggi.

Il che porta a una sovra-ingegnerizzazione rispetto alla semplicità didattica del metodo AIDA.

Ne vale la pena? Funziona?

No, in generale no.

I limiti della realtà

Qual è il problema con questi oggetti pazzescamente complicati e super strutturati?

Che è solo teoria. Niente di tutto questo ha alcun supporto metodologico serio.

Nel marketing e nelle vendite reali viviamo in una sorta di nebbia statistica, e i funnel sofisticati non servono a granché. In effetti:

  1. Non sappiamo davvero in che fasi dell’imbuto il cliente viene in contatto con noi. Si potrebbe pensare di descrivere il vero percorso del cliente con un funnel, ma è puro delirio di onnipotenza, potresti azzeccarci, come no.
  2. Non possiamo prevedere a priori il comportamento di un potenziale cliente, ma solo avere dei modelli statistici e trend ricorrenti che conosciamo solo DOPO aver ricevuto feedback dal mondo reale.

Per questo, avere un modello ingegnerizzato o anche detto “top down” nella costruzione di un funnel è la promessa di fallimento in ambiti complessi come la società, la massa e mente umana. Cioè nei mercati reali in cui tutti operiamo.

I funnel, nella loro concezione attuale, portano inevitabilmente a meno risultati e a costi di acquisizione molto più alti rispetto a una strategia di marketing meno ingegnerizzata ma più professionale.

il funnel dovrebbe rimanere, essenzialmente, uno strumento generico di vendita. Un modello concettuale. Non un framework basato su teorie aleatorie su clienti, dati o scienza. Men che meno uno strumento di marketing operativo. Perché è un modello impreciso della disciplina.

In questa immagine vediamo un percorso molto realistico di un cliente che attraversa, in momenti esistenziali e temporali diversi, i differenti canali di marketing creati e gestiti da un’azienda. Vedete quanto è imprevedibile il suo percorso? Ora moltiplicatelo per decine (o centinaia) di migliaia di potenziali clienti e inserite una grande quantità di imprevedibilità. È semplicemente delirante pensare di poter creare dei percorsi specifici che valgano per quasi tutti.

Le persone sono complicate

Il marketing infatti non è lineare. Le persone, nell’interazione con i brand iniziano passivamente, assimilando inconsciamente informazioni sui marchi; sono innescate in qualche modo e poi intraprendono un viaggio che può variare nel tempo, nelle fasi e nella linearità. I clienti sono distribuiti ovunque. Alcuni non hanno sentito parlare del vostro prodotto. Altri lo stanno attivamente valutando. Altri lo stanno acquistando regolarmente.

Data questa diaspora dei consumatori, spesso ha più senso dedicare risorse ad attività di marketing sia a lungo termine (costruzione di brand) che a breve termine (attivazione delle vendite) e non in ​​modo separato, ma simultaneo.

Perché se sottoscriviamo la metafora di elaborazione del “sistema 1” e del “sistema 2” di Daniel Kahneman e dell’esercito di ricercatori nel marketing che lo seguono, allora questa separazione tra obiettivi a lungo termine e a breve termine non è strettamente necessaria. Il cervello umano, semplicemente, risponde con aree diverse a stimoli diversi e elabora messaggi differenti allo stesso tempo!

Perché, allora, dividere la campagna in molti passaggi sovrastrutturati, quando non solo è possibile, ma spesso preferibile, mantenerla coerente e unica?

L’obiettivo finale del marketing

Costruire il marchio e spingere il consumatore ad acquistare nello stesso annuncio. Questo è lo scopo finale. E questo ci conferma non solo l’esperienza, ma anche la letteratura.

Perché è preferibile? Perché servono due fattori per un successo nel marketing. Primo, il consumatore deve ricordare l’annuncio. Secondo, deve collegarlo al brand. Sono necessari entrambi per avere effetto. È una sfida creativa, richiede un approccio che offra sia l’impatto emotivo che le argomentazioni razionali del prodotto che attivano le prestazioni di vendita.

In ogni caso, a prescindere dalla strategia, questa riflessione continua a confermare la validità e l’importanza della scelta del mix tra breve e lungo termine.

Nel mondo reale ci sono pochissimi percorsi “fissi” e la maggior parte sono bidirezionali (cicli di feedback e ripensamenti). Ciò presuppone che un cliente possa iniziare ovunque e alla fine scegliere il proprio modo di acquistare.

Esempio di percorso di acquisto classico e non gestibile con un funnel:

Avete bisogno di hamburger vegetali, forse una volta alla settimana. Alcune persone ne hanno bisogno ogni giorno. Per le volte in cui non ne avete bisogno, siete in “assimilazione passiva” esposti ad esempio a tutti gli annunci Beyond Meat (l’assimilazione passiva è dove trascorrete la maggior parte del tempo nella maggior parte delle categorie). Quando finite gli hamburger vegetali arriva l’innesco. Dopo l’innesco, potreste andare al negozio e scansionare la sezione degli hamburger vegetali (come Beyond Burger, Unconventional, etc). A questo punto, avrete una preferenza inconscia per Beyond Meat.

Come vedete, qui la parte del leone la fa, semplicemente, la pubblicità. Ed è la norma. Lo scopo della pubblicità è infatti aumentare la probabilità che una persona scelga il vostro marchio rispetto a un altro. E capendo il suo ruolo, possiamo passare da una visione semplificata del marketing basata sul funnel, a un più scientifico concetto di albero decisionale probabilistico del percorso d’acquisto. Lo scopo di questo approccio è utilizzare il proprio budget di marketing (sempre limitato!) per ottimizzare e mantenere il maggior numero possibile di persone “in gioco”, fino al punto di acquisto e oltre.

In conclusione:

Il funnel è un concetto artificiale e quindi banalizzante della realtà, non nato per il marketing e un ambiente complesso come quello attuale. Può sembrare che abbia qualche beneficio ma i danni nascosti sono molto maggiori, con l’ingegnerizzazione dei funnel perdete un sacco di opportunità rendendovi più fragili.

Se il solo strumento che possedete è un martello, vedrete in ogni problema un chiodo, Abraham Maslow