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Approfondimenti Deep Marketing.

Come costruire un marchio forte ottenendo vendite

L’ansia di prestazione a risposta diretta

La domanda mortale che si fa ogni imprenditore e manager quando pensa al marketing:

Devo concentrarmi sulla costruzione del brand (long-term strategy) o preferire solo l’attivazione immediata delle vendite (short-term strategy)?

Su cosa dovremmo focalizzarci tra questi due fuochi? E in che proporzione? Puntando tutto su una strategia sola o su un mix tra breve e lungo periodo?

A sentire gli attuali guru del marketing particolarmente in voga tra piccole aziende e professionisti, la risposta parrebbe ovvia:

Devi concentrarti solo sulle vendite. Ora, adesso, il resto non conta! Lavorare sul brand è inutile e stupido, tipico degli accademici incompetenti e pieni di paroloni! Devi fare “Marketing a risposta diretta e basta!”.

Ma è davvero così?

Ovviamente no. Per quanto possa sembrare scontato, tantissime persone credono a queste ricette facili e poco scientifiche. Ed è un peccato.


Come la vede la scienza

Fortunatamente il marketing è una soft science, quindi esiste una corposa letteratura su queste e altre faccende. A proposito di short e long-term strategy, potete ad esempio gustare una corposa ricerca (https://ipa.co.uk/media/9252/10-effectiveness-in-context-killer-charts.pdf) , basata sull’esame di migliaia di campagne nel corso di molti anni (più di 15 anni e 15.000 studi), che ha consentito ai ricercatori Field e Binet di concludere su quale sia l’approccio ideale, ma pure dove si stiano dirigendo i marketer.

Partiamo dalle (tristi) conferme.

I marketer, non solo in Italia, sono sempre più focalizzati sul breve termine. Spendono soldi per l’attivazione immediata, piuttosto che per la costruzione del marchio a lungo termine.

Field e Binet dimostrano tuttavia che sul lungo periodo questo approccio a short-term è a dir poco controproducente. Perché attenua l’impatto complessivo del marketing mix. Troppo tempo speso a raccogliere i frutti bassi (attivazione vendite immediate) significa meno tempo per far crescere l’albero (costruzione marchio). Ma puntando troppo sulla raccolta, alla fine l’albero smette di crescere.

Emergere nel rumore, lo scopo del branding

La magica formula 60/40

Quindi qual è la ripartizione del budget ideale scoperta in queste ricerche?

60 vs 40.

  • 60% delle risorse e delle ore-uomo nel marketing deve essere investito nella costruzione del brand.

  • 40% per l’attivazione delle vendite.

E come si devono intersecare le due strategie?

Partiamo dalle basi per arrivare alla risposta.Come sappiamo, la costruzione del marchio domina la crescita a lungo termine e comporta la creazione di strutture di memoria che spingono i consumatori a voler espressamente scegliere un certo brand piuttosto che un concorrente. La costruzione del marchio diminuisce inoltre la sensibilità al prezzo. Quindi, nel tempo, ha un forte impatto sulla redditività.L’attivazione delle vendite porta invece aumenti delle vendite a breve termine e si attiva con suggerimenti comportamentali più o meno di qualità che spingono i consumatori a voler acquistare ora. Messaggi promozionali, messaggi stagionali o legati ad altre occasioni e notizie minori su nuovi prodotti sono i messaggi principali utilizzati. Sono focalizzati su una risposta semplice. Hanno scarso effetto sulla crescita, sul potere di determinazione dei prezzi e sulla redditività.

Insistiamo sulla frase “più o meno di qualità”, perché se è vero che la strategia “short-term” può portare a breve dei picchi di vendite, questo dipende da come viene implementata e dalla padronanza degli strumenti. Sempre più spesso vediamo infatti marketer amatoriali e formatori improvvisati che si limitano ad applicare i fagioli magici per inesperti che noi chiamiamo “Cialdinate”, cioè l’implementazione capèstra delle tecniche del social Proof, del piede nella porta, della euristica della scarsità e dell’urgenza. Evidentemente, queste tecniche danno risultati mediocri, e sempre su target basso-spendenti. Il che è paradossale, visto che questi personaggi si definiscono esperti di “high ticketing”.

In sinergia, a seconda dei mercati

Ma branding e attivazione devono lavorare in sinergia, valorizzandosi a vicenda. La comunicazione di brand crea memorie durature che aumentano il livello di base della domanda, e l’attivazione delle vendite attiva questi ricordi, convertendoli in modo efficiente in vendite. Il risultato netto è un flusso di entrate sostenibile con margini elevati e ROMI (return-on-marketing-investment) elevati.Questa sinergia ottimale cambia inoltre a seconda di variabili di mercato e di fruzione maggioritaria nel canale di comunicazione. Ad esempio, nella divisione online/offline segue il bilanciamento:

  • Marchi offline: 55% branding, 45% vendite breve termine

  • Marchi online: 74% branding, 26% vendite breve termine

Online ci si può permettere il lusso di fare “più branding” che offline, perché il mezzo stesso rende l’attivazione delle vendite più facile. Il che, se ci pensate, è ovvio: su internet sei sempre a un click dall’acquisto.

Poiché l’attivazione delle vendite è relativamente facile per i marchi molto grandi, non è necessario che vi destinino una quota così elevata del loro budget. Con l’aumento della quota di mercato, l’equilibrio ottimale si sposta ancora di più a favore della costruzione del marchio. Da cui l’effetto poco compreso per cui i grandi marchi “sembrano” investire tutto in comunicazione di brand. In verità, stanno semplicemente ponderando meglio gli investimenti, adeguandoli alla brand equity.Infine, quando la categoria di mercato è in una fase discendente di interesse generale da parte dei clienti, dovrebbe esserci un lieve spostamento verso l’attivazione delle vendite rispetto al mix ideale: in questa fase è infatti più complicato costruire ricordi emotivi forti verso un marchio, mancando il concime della passione per la categoria in cui opera.

Online? La proporzione cambia

Confusi?

Non dovreste esserlo. Si tratta solo di “capire” in profondità queste dinamiche senza limitarsi a ricette magiche diffuse troppo belle per essere vere. Si tratta di fare il vero mestiere del marketer senza cercare sotterfugi e scorciatoie dal fiato corto.

Perché, come ci insegnano Field e Binet, sono suicide.

Per questo, a differenza dei guru che dicono basti un corso per imparare il marketing, noi ci battiamo per sensibilizzare le persone a queste dinamiche, facendo loro capire la complessità della materia con esempi, indagini di mercato e ricerche come quelle riportate in questo articolo. Pubblicazioni in cui ci ritroviamo e di cui confermiamo la veridicità, vedendone gli effetti e risultati ogni giorno con i nostri clienti.

Ecco perché affidarsi ad un’agenzia di marketing come Deep Marketing è fondamentale per rimanere sul mercato il più a lungo possibile aumentando i profitti, marginalità e ritorni sugli investimenti nello stesso tempo. In questo modo si evita di applicare un mix errato e di fare errori potenzialmente mortali.



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