In questo excursus andiamo ad analizzare alcuni famosissimi casi di crisis management fra i più celebri della storia. Lo facciamo in modo critico. Alla ricerca degli schemi comuni, delle costanti. Nell’ultimo paragrafo sintetizziamo i risultati raggiunti. E vediamo delle regole generali.
Il Crisis Management ("gestione delle crisi") nel marketing e nella comunicazione aziendale descrive un approccio basato su processi e strategie per identificare e rispondere a una minaccia, a un evento imprevisto e a un crollo della reputazione potenzialmente in grado di danneggiare più o meno definitivamente il marchio e distruggere le vendite.
Johnson & Johnson durante la crisi di manipolazione di Tylenol - 1982
Ventinove settembre 1982. Siamo a Chicago, in un tranquillo sobborgo americano. Mary Kellerman ha una banale influenza: un po' di mal di gola, il naso che cola, dolori muscolari. Una di quelle risolvibili con riposo e un po‘ di tachipirina quando necessario. Nel cuore della notte, la madre viene svegliata dalle lamentele della bimba. In casa c’è una confezione di Tylenol, non ancora aperta. Una dose del medicinale sarebbe stata sufficiente per abbassare la temperatura. E placare le lamentele.
Un episodio tutto sommato banale, una scena di vita quotidiana, che segna l'inizio di una serie di tragici decessi. Mary morirà dopo l'assunzione, alle 7 del mattino. E da quel momento le morti si susseguono una dopo l’altra.
La notizie dei decessi cominciano a circolare. Il 30 Settembre del 1982 la chiamata di un reporter della Chicago Tribune segna l'inizio di un flusso di richieste di informazioni alla J&J che raggiunge numeri impressionanti, nell'ordine delle migliaia. Le indagini delle autorità competenti danno una risposta: avvelenamento da cianuro di potassio.
La reputazione dell'azienda è messa a repentaglio. Il possibile danno di immagine è pazzesco. Bisogna agire velocemente. E bene. Occorre muoversi in due direzioni: evitare ulteriori avvelenamenti e recuperare la buon immagine dell’azienda.
Viene attivata una gigantesca macchina comunicativa e organizzativa con l’obiettivo di ritirare tutte le confezioni di Tylenol dal mercato.
E quindi:
Comunicazione agli addetti ai lavori, compreso il personale medico e in farmacia;
Apertura di un numero verde ad hoc per la segnalazione delle emergenze e per rispondere a tutti i dubbi dell’utenza;
Ritiro di milioni di confezioni.
Una volta passata la fase acuta dell’emergenza, bisognava agire per riguadagnare la fiducia dei consumatori. Questi erano in stato di shock, in disturbo post-traumatico da stress collettivo.
Nessuno avrebbe potuto garantire che casi del genere non si ripetessero. Ormai c’era un precedente.
A meno di non rendere impossibile la manomissione. Il personale tecnico ebbe una brillante idea: progettare una confezione tamper-proof, anti-manomissione.
Fu un successo. E non lo diciamo noi. Ma i numeri: in soli 5 mesi, il recupero è impressionante. Pari al 70% della quota di mercato. Dopo ancora pochi mesi, tale percentuale raggiunge il 98%. Un vero e proprio miracolo. Reso possibile solo grazie ad un'operazione di crisis management che rasenta l'incredibile. Perfezione e velocità di esecuzione sono i due ingredienti fondamentali nella gestione di questa vicenda.

British Petroleum durante la fuoriuscita di petrolio della piattaforma Deepwater Horizon nel 2010
20 Aprile 2010. Siamo a 52 miglia a sud-est di Venice, in Lousiana. L'unità mobile di perforazione offshore della piattaforma Deepwater Horizon esplode, brucia e affonda nel Golfo del Messico.
Il disastro economico, ambientale, di vite umane è da incubo. Undici dei 126 lavoratori sulla piattaforma restano uccisi, ben 3,19 milioni di barili di petrolio si riversano nel Golfo del Messico.
Per dare un'idea delle proporzioni: poco più di 20 anni prima, la petroliera Exxon Valdez versava circa 257.000 barili di petrolio in Alaska. La più grande tragedia della storia con una petroliera fino a quel momento: in proporzione circa 12 volte meno grave.
Le immagini della catastrofe cominciano rapidamente a circolare. E fanno la storia.
Simbolo della tragedia, rimasto impresso nella memoria collettiva, sono le foto dei pellicani completamente ricoperti di petrolio. Il mantello è ormai color pece. Quello originario è irriconoscibile.
Immagini che rappresentano non solo il danno ambientale della vicenda sulle specie marine ma la sconfitta dell’intera umanità nella conversazione delle specie animali e dei sistemi biologici.
L’episodio ha proporzioni epocali. Inimmaginabili. E inimmaginabile era anche il possibile danno economico e di immagine all’azienda.
Ma come abbiamo visto per il caso Tylenol, anche di fronte alla peggiore delle tragedie è possibile evitare il peggio con un’efficiente strategia di crisis management.
Tuttavia, questa nostra seconda storia non si conclude con un lieto fine. Anzi, è un fallimento su tutta la linea. Ma non tutto il male viene per nuocere. E dalla peggiore delle vicende possiamo trarre degli insegnamenti su come non gestire una crisi.
Analizziamo gli errori principali
Il primo errore sta nella mancanza di leadership.
Quando si verificano situazioni del genere, il coordinamento è essenziale: il gruppo della società deve agire in modo compatto, sincronizzato.
Sotto questo aspetto l’operato fu pessimo. E lo dimostra un dato: a seguito del disastro, diverse stazioni di servizio che facevano capo alla società finirono per cambiare nome. Non volevano essere associate in alcun modo all’azienda. Tutto sommato comprensibile.
Difficile dire se una leadership efficace avrebbe potuto evitare questa diserzione collettiva. Di sicuro, però, la mancanza di un piano di azione dall’alto verso il basso non ha assolutamente giovato.
Secondo errore: trovarsi completamente impreparati rispetto alla gestione, sul campo, della situazione. Il petrolio è stato libero di fuoriuscire per settimane. Senza nessun argine. Anzi, da parte dell’azienda non ci fu nessun tentativo serio in tal senso. Per una società del genere gestire correttamente un’emergenza di questo tipo dovrebbe essere la priorità fondamentale. E astrattamente non è nemmeno difficile prevedere che per un guasto o un errore umano una petroliera possa affondare. Se vogliamo è anche intuitivo.
Ecco, quello che a noi oggi sembra evidente non lo era ai piani alti. O, più probabilmente, lo scenario era si stato preso in considerazione ma considerato estremo: probabilità di verificazione statisticamente irrilevante. Siamo però di fronte ad episodi e disastri che non seguono traiettorie di tipo lineare. Quando ci sono in gioco possibilità di catastrofi ecologiche di proporzioni epocali le politiche basate sul calcolo del rischio statistico lasciano tutto sommato il tempo che trovano. E questa vicenda ne è una dimostrazione lampante.
Esplicative dell’approccio rispetto alla vicenda sono le politiche aziendali degli anni precedenti.
Per risparmiare sulle spese, il management aveva attuato una serie di tagli a settori chiave per la gestione di simili emergenze.
Come:
spese di comunicazione con il governo e il budget per le pubbliche relazioni: un più intenso dialogo con gli organi di governo avrebbe consentito non solo un migliore coordinamento sul campo ma anche una comunicazione con il pubblico più efficace;
tagli al settore del risk management: mancanza di budget a cui si associava una mancanza totale di modelli di gestione della crisi.
Terzo fattore: la mancanza di una comunicazione efficace.
Questo è forse l'errore più grave e rilevante.
Al centro della nostra analisi c'è un'intervista del CEO della società: Anthony Bryan Hayward.
Questo dichiara: "“There’s no one who wants this thing over more than I do. You know, I’d like my life back. Tradotto: "non c'è nessuno che vuole porre fine a questa vicenda come lo voglio io. Vorrei solo la mia vita indietro"
Il focus di Anthony Bryan Hayward, in un momento di crisi, tanto delicato, come questo, è verso l'interno: la sua vita, la sua persona, la sua carriera. Di fronte ad una vicenda di proporzioni epocali che aveva causato migliaia e migliaia di vittime, fra esseri umani e animali, portando a una catastrofe ecologica senza precedenti, concentrarsi sulla propria vita e sulle conseguenze della vicenda sulla propria carriera è stato un errore ingiustificabile.
Le conseguenze? Una serie di multe, nell'ordine di decine di milardi di dollari, irrogate dal governo degli Stati Uniti di America.
E, soprattutto, la perdita di fiducia dei consumatori.
La società è riuscita infine a sopravvivere solo a seguito di una serie di ristrutturazioni e tagli. Senza mai tornare all’assetto precedente.

Apple in risposta al problema dell'antenna dell'iPhone 4 - 2010
Facciamo adesso un salto in avanti nella nostra linea temporale. Siamo nel 2010. Steve Jobs è ancora CEO di Apple. Il fatturato è alle stelle. Un grande anno per la compagnia, segnato dal rilascio di un nuovo modello: l'Iphone 4.
Lunghe code si formano davanti alle sedi e ai negozi. I clienti, entusiasti, mostrano il loro acquisto. Ma questo rilascio non è come tutti gli altri.
Ben presto, qualcosa di molto strano emerge: il telefono perde la connessione di rete. E non solo. Quando si tiene il telefono nella mano sinistra la chiamata si interrompe.
È l'inizio del caso Antenna Gate. L'inizio di uno dei casi più celebri di crisis communication.
Steve Jobs al momento della vicenda si trova in vacanza, alle Hawaii.
L'interruzione delle vacanze è immediata. Interruzione a cui segue la preparazione di una conferenza stampa, che inizia con un video sarcastico, provocatorio, geniale. La tensione viene stemperata con un'ironia che ha dello straordinario: "non c'è Antennagate". Frase che segna un po' l'approccio di Apple e del suo fondatore alla vicenda.
La conferenza inizia nientemeno con una canzone sarcastica presa da YouTube
Invece di minimizzare il pericolo corso, invece di tentare un'inutile arrampicata sugli specchi, Steve Jobs ammette candidamente che i telefoni Apple non sono perfetti, e non sono unici. Come tutti i telefoni, possono avere problemi. E questa ammissione viene da un'azienda che ha sempre dichiarato di essere avanti alla concorrenza. E che, per molti aspetti, lo era e lo è ancora.
Da qui in poi, Steve Jobs adotta un approccio profondamente pragmatico.
Ricorrendo ai dati, ai numeri oggettivi, dimostra che la situazione lato assistenza clienti, numero delle chiamate, telefoni restituiti non era tanto grave. Per nessuno di questi tre aspetti si era verificata un'impennata.
Questo però non costituisce una giustificazione. Steve Jobs si impegna subito dopo a garantire il massimo della qualità per fare in modo che tutti gli utenti siano profondamente soddisfatti. E nel frattempo, prima di trovare una soluzione, a tutti gli utenti veniva offerta una custodia dell'Iphone 4 completamente gratuita.
I risultati di questa sapiente strategia comunicativa sono sotto agli occhi di tutti: la fiducia nel marchio è stata restaurata, la società non ha ridotto le vendite, e l'immagine di Apple ne è uscita addirittura rafforzata.
Possiamo noi imitare Steve Jobs? No.
Possiamo noi prendere spunto dal suo utilizzo di dati e razionalizzazioni? Sì.

Chipotle Mexican Grill e la salmonella
La nota catena di fast food messicana, con 2000 ristoranti in tutto il mondo, è oggetto nel 2015 di un'epidemia di salmonella. Si diffonde in ben 14 stati con una rapidità e una violenza impressionante. Al picco ci sono 88 persone infette.
Scoppia il caso mediatico e bisogna agire rapidamente, in due sensi: ristabilire la fiducia dei consumatori ed evitare di aggravare ulteriormente la situazione epidemiologica.
Innanzitutto viene ordinata la chiusura di molteplici ristoranti. Forse, anche più del necessario. In questo modo si segnala al pubblico cautela e soprattutto la volontà di non prendere la questione sotto gamba.
Poi viene attivato un programma di revisione delle procedure e dei test di sicurezza, aumentando a dismisura il livello di rigidità dei controlli. Azioni pratiche a cui segue una conferenza stampa della compagnia, dove viene dichiarato che ormai gli standard di controllo sono fra i più rigidi sul mercato.
La situazione di emergenza è tamponata. Ma manca ancora un ultimo tassello: ristabilire la fiducia nel marchio.
E, come abbiamo visto per il caso Apple, quando le vendite si riducono a causa di un'emergenza, il migliore modo per recuperare la fiducia dei consumatori a volte è concedere buoni, promozioni, coupon.
Riportare le persone nell'alveo del proprio business per tranquillizzarle. Più usi un prodotto, più lo trovi familiare, più hai un'opinione positiva
Un altro esempio di ottima gestione delle crisi di mercato.

Data Breach di Target
Fra il 27 Novembre e l'18 Dicembre del 2013 avviene uno degli attacchi informatici più celebri della storia. Ai danni della catena Target.
Le proporzioni sono pazzesche, soprattutto per gli standard dell'epoca: 40 milioni di numeri di carte di credito rubate, 70 milioni di clienti colpiti. L'attacco però non ha riguardato solo i dati delle carte di credito. Ma anche: PIN, nomi di clienti, indirizzi e-mail, numeri di telefono, date di scadenza e codici di sicurezza.
Riprendendo un metodo che abbiamo già utilizzato nell'analisi di altri casi, soffermiamoci anche qui sulle dichiarazioni, per analizzare l'efficacia della strategia comunicativa.
Prima dichiarazione del CEO
"Ieri abbiamo comunicato che c'è stato un accesso non autorizzato ai dati delle carte di pagamento nei nostri negozi statunitensi. Il problema è stato identificato ed eliminato. Ci rendiamo conto che la situazione è stata fonte di confusione e di disturbo durante una stagione festiva già molto intensa. La fiducia dei nostri clienti è la nostra massima priorità in Target e ci impegniamo a risolvere il problema. Vogliamo che i nostri clienti capiscano che il fatto di aver fatto acquisti da Target nel periodo interessato non significa che siano vittime di una frode. Infatti, in altre situazioni simili, i livelli di frode effettiva sono generalmente bassi. Soprattutto, vogliamo rassicurare gli ospiti che non saranno ritenuti finanziariamente responsabili di eventuali frodi con carte di credito e di debito. Per fornire agli ospiti un'ulteriore garanzia, offriremo servizi gratuiti di monitoraggio del credito. Ci metteremo presto in contatto con coloro che sono stati colpiti da questo problema per sapere come e dove accedere al servizio".
Di per sé come inizio non è male. Certo, siamo ben lontani dalla genialità di Steve Jobs nel caso Antenna Gate. E sarebbe stato preferibile un approccio meno formale alla vicenda. Ma nel complesso il messaggio è chiaro, conciso, non lascia alcun margine di fraintendimento.
Quello che viene dopo, però, non convince:
"Prendiamo sul serio questo crimine. È stato un furto contro Target, i membri del nostro team e i nostri ospiti. Siamo insieme e, con questo spirito, stiamo estendendo uno sconto del 10% - lo stesso importo che ricevono i nostri membri del team - agli ospiti che fanno acquisti nei negozi statunitensi il 21 e 22 dicembre."
Cosa salta all'occhio? Ricordate il caso DeepWater? Cosa hanno in comune?
Ebbene: l'ordine di priorità, il focus all'interno. Di fronte ad un'emergenza simile, non puoi mettere come primi della lista l'azienda e poi il team. Non è un dettaglio da poco. Su questi aspetti si gioca la differenza fra una buona e una cattiva strategia di crisis management.
L'utente si deve sentire rassicurato. Deve avvertire di essere al centro delle attenzioni, che in quel momento stai lavorando per risolvere il suo problema. Nell'impianto comunicativo deve avere il ruolo principale.
Ma che dire dell'aspetto operativo? Un disastro. Di dimensioni epiche.
Primo errore: fare passare più di un giorno dal momento dell'emergenza prima di rilasciare una comunicazione.
Qui c'è la rottura di un'altra regola che abbiamo visto essere propria di tutti i casi di successo. Regola che possiamo riassumere con la formula: "più grande il disastro, più veloce deve essere la comunicazione".
Secondo errore: mancanza di organizzazione della gestione delle richieste. Se sei un'azienda tanto rilevante non puoi permetterti di peccare di disorganizzazione. Devi essere in grado di fronteggiare tutte le richieste che ti arrivano dall'esterno. Non c'è volume che tenga.
E anche sotto questo aspetto, la gestione è stata estremamente deficitaria. Il personale competente è stato incapace di gestire il volume di chiamate dall’esterno. Ancora una volta: se pensi di risparmiare sul budget al risk management, dopo ne paghi le conseguenze.

I dipendenti impazziti di Domino's pizza
Ricordate la scena di Fight Club dove Tyler viene definito il terrorista della guerriglia nel settore della ristorazione? Dove il nostro co-protagonista viene mostrato mentre urina sulla zoppa di aragosta?
Bene, la realtà a volte supera l'immaginazione. Qualcosa di simile è successo nel 2009. Se fosse accaduto appena 10 anni il tutto si sarebbe risolto in una semplice indigestione. Un cliente in meno magari, ma niente in grado di compromettere la reputazione di un brand tanto famoso. Ma adesso siamo nel 2009 e nell'epoca di internet, un errore del genere può costare caro. Soprattutto se gli stessi dipendenti hanno la brillante idea di filmarsi mentre praticano pratiche non perfettamente "igieniche" sui sandwich.
Parliamo dello scandalo di Domino's pizza.
Ben presto, le immagini cominciano a circolare con una rapidità disarmante. In poche ore si arriva a 1 milione di visualizzazioni. Video che ritraggono i dipendenti della nota catena di fast food mentre si infilano pezzi di formaggio nel naso, starnutiscono su alcuni alimenti ed emettono flatulenze su una fetta di salame.
Il caso aveva tutte le potenzialità per rovinare definitivamente la reputazione della compagnia. E se non accadde lo si deve ancora una volta ad un'efficiente strategia di crisis management.
La strategia di Domino's
Abbiamo visto, nei precedenti case study,come uno dei fattori determinanti sia la velocità.
Non è sufficiente reagire bene. Bisogna farlo anche velocemente. E l'importanza della velocità in questa vicenda emerge sia in negativo che in positivo.
Lato scoperta dell'accaduto i tempi furono fulminei. Grazie a un fan l'azienda scoprì quasi immediatamente del video. E guadagnò tempo prezioso. Tempo utile a prendere tutte le misure necessaire.
La società contattò immediatamente YouTube per fare rimuovere il video. Poi fece identificare i dipendenti coinvolti, prese le misure legali necessarie. In tempo zero.
C'è un ma: lo fece da dietro le quinte. Tentò l'insabbiamento. E questo è uno dei difetti di questa strategia. Domino's avrebbe dovuto rilasciare immediatamente una dichiarazione (nota il collegamento con il caso Target).
Ma fortunatamente risolse in fretta questo problema. Dopo poco tempo su Twitter tentò di rassicurare l'utenza: si era trattato di un errore isolato. Si stavano prendendo tutte le misure necessarie, compreso il licenziamento. Casi del genere non si sarebbero più verificati.
La tecnologia toglie, la tecnologia dà. Facendo in modo sapiente leva sul potere della circolazione delle informazioni, l'azienda chiese ai suoi follower di ricondividere il Tweet in modo da raggiungere il più ampio numero di utenti.
E, ancora una volta, è un video a salvare la reputazione dell’azienda, Questa volta è lo stesso presidente dell’azienda, Patrick Doyle, a parlare. In modo calmo ma assertivo, sfoga la sua rabbia contro l’accaduto, e ribadisce come questa sia una tragedia per tutti e ringrazia il web per i feedback.
Quando un CEO si espone così tanto, i fan apprezzano
La prova dell'efficacia di questa strategia di comunicazione? Beh, lasciamo di nuovo spazio ai numeri: dal 2009 al 2023 il valore delle azioni dell‘azienda è salito da 9 dollari a 350 dollari. Possiamo decisamente dire che l’impatto è stato tutto sommato limitato nel tempo.
Domino's Pizza, uno scandalo pericoloso (immagine generata da Stable Diffusion)
Conclusione
Abbiamo analizzato alcuni casi di Crisis Management, ognuno con le sue caratteristiche specifiche.
Ma abbiamo visto pure come nella loro diversità siano accomunati da una serie di pattern ricorrenti. Vediamo le strategie migliori quando siamo in una situazione di distruzione reputazionale e serve una ottima strategia di crisis communication:
Predisposizione a priori di strategie di risk management, prima che si verifichi l'evento, per la gestione dei "cigni neri";
Leadership in grado di garantire un'attività di coordinamento e di gestione delle risorse disponibili per la risoluzione della situazione emergenziale;
Pronta ed efficace comunicazione nei confronti dell'utenza, sia durante sia dopo l'emergenza;
Comunicazione empatica, rivolta all’esterno (utenza, popolazione) e non all’interno (team, azienda);
Attuazione di strategie commerciali (come, ad esempio, la concessione di buoni o sconti) dopo l'emergenza per rafforzare il legame con il marchio.
Chiaramente non siamo davanti a una "Bibbia" perfetta. Ogni caso vive di vita propria. Ma queste generalizzazioni possono essere un canovaccio universale per evitare plateali errori e distruzione di brand equity e fiducia del mercato.
Comments